

Nel bilancio d’esercizio, le attività rappresentano la fotografia di tutto ciò che l’impresa possiede o controlla in un determinato momento: immobilizzazioni materiali e immateriali, investimenti finanziari, scorte, crediti commerciali e disponibilità liquide. La comprensione di questi argomenti è cruciale tanto per l’imprenditore quanto per gli addetti al controllo di gestione, perché consente di valutare la solidità patrimoniale, la capacità di generare flussi di cassa futuri e la qualità delle risorse impiegate.
Lo stato patrimoniale e il conto economico sono i cardini informativi del bilancio civilistico. Il primo è un “fermo immagine” a una data precisa (normalmente il 31 dicembre) e illustra composizione, natura e provenienza delle poste patrimoniali: attività, passività e patrimonio netto. Il secondo, invece, racconta come quel patrimonio si sia modificato durante l’esercizio, misurando ricavi, costi e, in ultima istanza, l’utile o la perdita di periodo. In estrema sintesi: lo stato patrimoniale risponde alla domanda “dove siamo oggi?”, il conto economico spiega “come ci siamo arrivati”.

Nel prospetto civilistico lo schema dell’attivo segue un criterio di “liquidità crescente”:
Questa sequenza accompagna il lettore dalla parte più rigida (immobilizzazioni) a quella più pronta alla conversione in cassa (liquidità immediate). Tale classificazione fornisce indicazioni sulla capacità dell’impresa di coprire i propri impegni di breve periodo e di sostenere investimenti strategici mediante risorse interne.
Nonostante la diversa prospettiva temporale, i due prospetti dialogano in modo continuo. Si pensi all’ammortamento: il relativo costo erode l’utile del conto economico, mentre, parallelamente, abbatte il valore lordo delle immobilizzazioni nello stato patrimoniale. Ugualmente, la variazione delle rimanenze genera un effetto speculare: se gli stock finali crescono, il conto economico registra un provento che eleva il risultato (in contabilità, si applica il principio della competenza economica: i costi sostenuti per l’acquisto o la produzione di beni che non sono ancora stati venduti non andranno a ridurre il risultato dell’esercizio, ma saranno “rinviati” all’esercizio successivo tramite un incremento delle rimanenze), ma lo stato patrimoniale evidenzia il maggior valore di scorte in attivo.
Questo legame funzionale è essenziale per valutare il ritorno sugli investimenti (ROIC) e, più in generale, la redditività rispetto al capitale investito. Senza una lettura incrociata dei due prospetti, qualunque analisi di performance aziendale risulterebbe monca e rischierebbe di confondere redditività apparente con effettiva capacità di generare cassa.
Dal punto di vista della consulenza direzionale, concentrarsi sulle attività significa indagare la “qualità” degli impieghi: un portafoglio crediti eccessivamente esposto o magazzini gonfiati possono compromettere la solvibilità, mentre immobilizzazioni obsolete possono limitare la competitività futura. Inoltre, la disciplina civilistica (aggiornata dal D.Lgs. 139/2015) impone criteri di valutazione stringenti, dal costo ammortizzato dei crediti a test di impairment sulle immobilizzazioni, che incidono direttamente sul patrimonio netto e sugli indici di bancabilità.
Negli approfondimenti che seguiranno esploreremo in dettaglio immobilizzazioni, rimanenze e crediti commerciali, evidenziando criticità operative, ricadute fiscali e implicazioni per il controllo di gestione.
Il percorso si snoderà lungo una linea guida comune, tipica dell’approccio di LB Advisory: trasformare la teoria contabile in strumenti pratici per migliorare decisioni d’investimento, gestione del capitale circolante e monitoraggio dei flussi finanziari.
Il sistema contabile italiano affonda le proprie radici in un articolato framework normativo che concilia tradizione civilistica nazionale e armonizzazione europea. La redazione del bilancio d'esercizio non si basa esclusivamente su norme rigide, ma si sviluppa attraverso l'integrazione di principi fondamentali, regole specifiche e linee guida interpretative che garantiscono chiarezza informativa e confrontabilità nel tempo.
Il punto di partenza imprescindibile è rappresentato dagli articoli 2423-2426 del Codice civile. L'articolo 2423 stabilisce l'obbligo per gli amministratori di redigere il bilancio d'esercizio composto da stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario e nota integrativa, imponendo che tale documento "sia redatto con chiarezza e rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio".
L'articolo 2423-bis introduce i principi generali di redazione: valutazione secondo prudenza e nella prospettiva della continuità aziendale, prevalenza della sostanza sulla forma, competenza economica e costanza nei criteri di valutazione. Questi postulati rappresentano i capisaldi interpretativi che guidano ogni scelta contabile, dalla rilevazione iniziale alla valutazione delle poste patrimoniali.
L'articolo 2426 disciplina i criteri di valutazione specifici, imponendo il costo storico per le immobilizzazioni, il costo ammortizzato per crediti e debiti, e il principio del minore valore per le rimanenze. La recente introduzione del criterio del "costo ammortizzato" per crediti e debiti, derivante dal recepimento della normativa europea, rappresenta uno degli elementi di maggiore novità e complessità applicativa.
L'articolo 2423 prevede una clausola generale di estrema rilevanza: se le informazioni richieste non sono sufficienti per fornire una rappresentazione veritiera e corretta, è necessario fornire informazioni complementari. Al contempo, è consentito derogare agli obblighi di rilevazione, valutazione e informativa quando la loro osservanza produce effetti irrilevanti. Questa disposizione introduce il concetto di "materialità", mutuato dalla prassi internazionale, che permette un approccio sostanziale anziché meramente formale.
Il D.Lgs. 139/2015 ha dato attuazione alla Direttiva 2013/34/UE, modernizzando significativamente la disciplina del bilancio. Le principali innovazioni riguardano l'introduzione del rendiconto finanziario come documento obbligatorio per le imprese che superano determinati parametri dimensionali, l'estensione del criterio del costo ammortizzato e il rafforzamento del principio di prevalenza della sostanza sulla forma.
Tale decreto ha inoltre rivisto la classificazione dimensionale delle imprese, introducendo la categoria delle "micro-imprese" con soglie più basse e prevedendo significative semplificazioni per le imprese di minori dimensioni. Questo approccio "proporzionale" riconosce che le esigenze informative variano in funzione della rilevanza economica e sociale dell'entità.
L'Organismo Italiano di Contabilità svolge un ruolo fondamentale nell'interpretazione e integrazione delle norme civilistiche. I principi OIC rappresentano la "migliore prassi operativa" per la redazione dei documenti contabili e forniscono guidance dettagliata su aspetti specifici che il Codice civile disciplina solo a livello generale.

Tra i principi OIC di maggiore impatto per le attività di bilancio si distinguono:
I principi OIC si caratterizzano per un approccio pragmatico che bilancia rigore teorico e praticabilità applicativa. Ad esempio, prevedono deroghe al costo ammortizzato per crediti e debiti di breve termine quando gli effetti sono irrilevanti.
In Italia coesistono due sistemi contabili: i principi nazionali OIC per la generalità delle imprese e i principi internazionali IAS/IFRS per società quotate, banche, assicurazioni e altri soggetti definiti dal D.Lgs. 38/2005. Dal 2019, le società non quotate hanno facoltà (e non obbligo) di adottare i principi internazionali.
Questa dualità crea interessanti opportunità di confronto e convergenza. Ad esempio, l'OIC 32 sui derivati è fortemente ispirato al fair value degli IFRS, mentre l'OIC 9 richiama il paradigma dello IAS 36 per le riduzioni durevoli di valore.
Per approfondimenti sui riflessi economici, si rimanda al nostro articolo Introduzione al conto economico.
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La Consob esercita vigilanza sulle società quotate anche in materia di corretta applicazione dei principi contabili. Attraverso comunicazioni e orientamenti, l'Autorità chiarisce aspetti applicativi complessi, contribuendo all'uniformità interpretativa. Questo sistema di "enforcement" garantisce elevati standard qualitativi nell'informazione finanziaria delle società di maggiore rilevanza pubblica.
Il quadro normativo italiano, quindi, si presenta come un sistema stratificato ma coerente, in cui principi generali, norme specifiche e guidance interpretativa si integrano per fornire un solido fondamento alla rappresentazione contabile delle attività di bilancio.
La sfida per il redattore del bilancio consiste nel navigare questa complessità mantenendo sempre fermo l'obiettivo della rappresentazione veritiera e corretta.
In bilancio il termine immobilizzazioni identifica le risorse destinate a restare nel patrimonio aziendale oltre il normale di produzione o di vendita. Non è una qualità intrinseca del bene, bensì la conseguenza di una scelta gestionale: il bene viene acquisito o realizzato per supportare la creazione di valore lungo più esercizi e non per essere rivenduto rapidamente. Lo stato patrimoniale le colloca nella sezione B, distinguendole nettamente dall’attivo circolante dove confluiscono scorte, crediti e liquidità. Di fatto rappresentano la “spina dorsale” della struttura produttiva e organizzativa dell’impresa, l’insieme degli asset che permettono di generare ricavi futuri.

Il codice civile e i principi OIC articolano le immobilizzazioni in tre macro-famiglie.
La distinzione non è formale: ogni categoria ha criteri di valutazione, tempi di ammortamento e disclosure differenti.
Per esempio, un terreno non si ammortizza, un impianto sì; un marchio può essere iscritto solo se acquistato o sviluppato a costi identificabili; una partecipazione va verificata annualmente per il rispetto del valore recuperabile.
Un bene può essere capitalizzato soltanto se genera utilità futura misurabile e il suo costo è attendibilmente determinabile. La rilevazione avviene al costo storico:
Spese sostenute successivamente – ampliamenti, ammodernamenti, sostituzioni di componenti rilevanti – vengono capitalizzate se incrementano capacità, vita utile o qualità dei flussi di cassa futuri. In caso contrario si imputano a conto economico come costi d’esercizio. L’approccio component approach, introdotto dall’ultima revisione dell’OIC 16, impone di ammortizzare separatamente le parti di un cespite con vite utili diverse (es. struttura e impianti di un edificio).
Il costo viene sistematicamente ripartito lungo la vita utile del bene attraverso l’ammortamento, processo che riflette il consumo economico dell’asset. Il metodo lineare è il più diffuso, ma sono ammessi piani decrescenti o basati sull’unità di prodotto se rappresentano meglio il pattern di benefici. La quota decorre dal momento in cui il cespite è disponibile e pronto all’uso; per i beni entrati in funzione a metà esercizio la prassi accetta la riduzione al 50% dell’aliquota annua, purché non alteri la rappresentazione sostanziale.
Ogni anno occorre verificare che il valore recuperabile – maggiore tra valore d’uso e fair value al netto dei costi di vendita – non sia inferiore al valore contabile. Quando emergono indicatori di perdita durevole (obsolescenza, calo di redditività, ridimensionamento impianti) si effettua l’impairment test disciplinato dall’OIC 9. L’eventuale svalutazione confluisce nel conto economico, riducendo sia l’utile sia la base ammortizzabile dei periodi successivi. Se nei periodi seguenti vengono meno le cause della svalutazione, è consentito il ripristino di valore fino al limite del costo ammortizzato che il bene avrebbe avuto in assenza di svalutazioni.
Rivalutazioni monetarie straordinarie sono ammesse soltanto se previste da leggi speciali. L’iscrizione del maggiore valore comporta l’obbligo di indicarne origine, importo lordo e impatto su ammortamenti futuri nella nota integrativa.
Articolo 102 del TUIR stabilisce le aliquote massime deducibili ai fini d’imposta, spesso diverse dalle aliquote civilistiche. Le divergenze generano differenze temporanee che l’impresa contabilizza attraverso imposte anticipate e differite. È tipico, ad esempio, ammortizzare civilisticamente un impianto in 10 anni ma dedurlo fiscalmente in 8 con aliquota superiore: sul piano contabile il maggior ammortamento fiscale crea un risparmio d’imposta immediato ma obbliga a rilevare una passività per imposte differite. Questi meccanismi dimostrano quanto sia importante gestire congiuntamente politiche di ammortamento civilistico e strategie fiscali in ottica di pianificazione finanziaria.
Le quote di ammortamento transitano nella voce B10a) del conto economico, collegando direttamente la gestione delle immobilizzazioni ai margini operativi. Chi desidera approfondire l’impatto sul risultato economico può consultare l’articolo Introduzione al conto economico.
Per una società orientata al controllo di gestione la qualità dei dati sulle immobilizzazioni è cruciale. Il libro cespiti digitale consente di monitorare in tempo reale costi, aliquote, fondi ammortamento, date di entrata in funzione e scadenze di manutenzione. Incrociando questi dati con gli indicatori di redditività specifici (Return on Invested Capital, margine operativo netto dopo ammortamenti) è possibile individuare tempestivamente investimenti sotto-performanti o cespiti prossimi al fine vita tecnica.
Infine, il confronto periodico tra valori OIC e IAS/IFRS (IAS 16 per le materiali, IAS 38 per le immateriali) aiuta a valutare l’opportunità di transizione ai principi internazionali, soprattutto per le imprese che puntano a mercati esteri o a operazioni straordinarie. Anche senza adottare gli IFRS, le differenze di trattamento (costo vs fair value, component approach più granulare, impairment test basato su cash generating units) offrono indicazioni preziose per affinare le politiche di investimento e di reporting interno, rafforzando la trasparenza verso banche e stakeholder.

Comprendere le rimanenze significa entrare nel cuore del capitale circolante: sono il ponte tra la produzione e il fatturato, il luogo in cui le materie prime si trasformano in ricavi differiti. In questa sezione analizziamo la loro natura, il sistema di classificazione previsto dalla normativa italiana, i criteri di valutazione e le implicazioni gestionali che più interessano chi si occupa di controllo di gestione.
La contabilità civilistica definisce rimanenze tutte le scorte destinate alla vendita o a essere consumate nel ciclo produttivo. Non si tratta di un ammasso indistinto: l’ordinamento prevede che i beni siano ricondotti a classi omogenee allo scopo di favorire un monitoraggio mirato dei rischi di obsolescenza e di finanziare correttamente il magazzino. Una gestione accurata delle scorte riduce il capitale bloccato e, di conseguenza, il fabbisogno di cassa.
Lo schema di stato patrimoniale colloca le rimanenze nella sezione C.I dell’attivo circolante. Le sottovoci sono cinque e riflettono i diversi stadi della catena del valore:
Questa articolazione consente di cogliere immediatamente dove si concentra il valore: un magazzino pesante di materie prime implica rischi di prezzo e di deterioramento diversi da un portafoglio di prodotti finiti in attesa di consegna.
La normativa impone un approccio in due fasi. Prima si individuano le quantità fisiche a inventario; poi si determina il valore economico. La rilevazione delle quantità avviene tramite contabilità di magazzino e inventari fisici, annuali o rotativi. La misurazione deve essere sufficientemente analitica da garantire che ogni singolo articolo rifletta il proprio effettivo stato di avanzamento.
Il valore economico deriva dal confronto tra costo e valore di realizzo, con obbligo di iscrivere il minore dei due. La regola di prudenza salvaguarda il patrimonio da sopravvalutazioni, soprattutto in presenza di obsolescenza o cali di prezzo.

Per i beni fungibili si può adottare, in alternativa al costo specifico, uno dei metodi di calcolo riconosciuti:
Il metodo prescelto deve essere applicato con continuità e adeguatamente illustrato in nota integrativa. Nei lavori in corso su ordinazione si utilizza il criterio della percentuale di completamento, che attribuisce ai ricavi di periodo la parte di costi sostenuti più il margine maturato.
Il valore netto di vendita considera il prezzo di mercato al netto dei costi di completamento e di distribuzione. Sono frequenti le riduzioni di valore dovute a merce invenduta, resi dei clienti o scarsa rotazione. In tali circostanze l’impresa deve rilevare una svalutazione che incide direttamente sul risultato d’esercizio.
La variazione delle rimanenze rappresenta lo snodo tra conto economico e stato patrimoniale. Se lo stock finale supera quello iniziale la differenza riduce il costo del venduto, incrementando di fatto l’utile operativo. Viceversa, una diminuzione delle scorte fa emergere costi che erodono il margine. Il fenomeno impatta anche sul rendiconto finanziario: una crescita di magazzino assorbe liquidità, mentre un suo riassorbimento la libera.
Per un approfondimento sulle dinamiche del conto economico e sulla loro lettura in chiave gestionale si rimanda all’articolo già pubblicato nella nostra sezione Risorse Gratuite.

Dal punto di vista del controller (colui che si occupa del controllo di gestione), le rimanenze richiedono un’attenzione costante a tre aspetti:
L’adozione di sistemi ERP integrati facilita l’analisi in tempo reale delle giacenze, permettendo simulazioni di costo e valutazioni what-if su scenari di approvvigionamento alternativi.
Il TUIR consente di dedurre il minor valore delle rimanenze quando correttamente documentato. Svalutazioni non motivate da reali carenze o deprezzamenti rischiano però di essere contestate in sede di verifica tributaria. Occorre quindi dimostrare, con documenti di magazzino e listini correnti, che il valore netto di vendita risulti effettivamente inferiore al costo.
I crediti verso clienti rappresentano una componente essenziale del capitale circolante e costituiscono, per molte imprese, la principale voce dell’attivo a termine. Comprendere il loro funzionamento è cruciale per leggere correttamente la solidità finanziaria di un’azienda, ottimizzare il cash flow e valutare i rischi connessi alla concessione di dilazioni di pagamento.
I crediti commerciali non sono semplici “numeri da incassare” bensì un campo d’azione strategico in cui si intrecciano politica commerciale, finanza operativa e valutazione del rischio.
In questa sezione analizzeremo la genesi dei crediti, i criteri di rilevazione iniziale e di misurazione successiva, le tecniche di gestione operativa e gli impatti sul controllo di gestione.
Il credito commerciale sorge quando l’impresa trasferisce al cliente la sostanziale proprietà di un bene o completa una prestazione di servizi, prima di incassare il relativo corrispettivo. Ai fini della competenza economica, il diritto a ricevere il pagamento deve essere certo nell’esistenza e determinabile nell’ammontare: per le cessioni di beni il momento discriminante coincide con il passaggio di rischi e benefici, talvolta disciplinato da clausole Incoterms; per i servizi, rileva il completamento della prestazione. In queste circostanze il ricavo confluisce nel conto economico e, in contropartita, nasce il credito nello stato patrimoniale, creando il ponte informativo che collega i due prospetti (approfondito nell’articolo sul conto economico).

Lo schema civilistico inserisce i crediti nella sezione C.II dell’attivo circolante, articolandoli in sottovoci che riflettono la natura del rapporto:
Questa suddivisione favorisce la trasparenza sui rischi di controparte: un eccesso di crediti infragruppo può segnalare politiche di liquidità centralizzata, mentre crediti fiscali importanti rimandano a strategie di compensazione o a eccedenze d’imposta.

Dal 2016 crediti e debiti devono essere rilevati secondo il costo ammortizzato, metodo che attualizza i flussi finanziari futuri con il tasso d’interesse effettivo. Nella pratica, le transazioni commerciali ordinarie non prevedono in genere costi di transazione significativi né differenze tra valore nominale e valore di rimborso; di conseguenza l’effetto del costo ammortizzato è spesso irrilevante. Tuttavia, la disciplina diventa rilevante in presenza di:
In tali circostanze occorre calcolare il tasso effettivo e ripartire la componente finanziaria lungo la vita del credito, evidenziando gli interessi impliciti nella sezione C17 del conto economico.

Il principio di prudenza impone di riportare i crediti al valore che si ritiene di incassare: si procede quindi alla stima delle perdite attese e alla costituzione del fondo svalutazione crediti. Il modello più diffuso prevede:
L’aggiornamento periodico del fondo consente di riflettere tempestivamente l’evoluzione della qualità creditizia e fornisce al controller indicatori utili per negoziare termini di pagamento o rivedere il plafond assicurativo con i credit insurer.

Una buona prassi di controllo di gestione prevede la definizione di policy che disciplinano:
Strumenti come il factoring, la cessione pro-soluto o i programmi di supply chain finance possono accelerare l’incasso e migliorare gli indici di liquidità. È però essenziale analizzare il costo effettivo di queste soluzioni, spesso occultato in commissioni e interessi impliciti, per evitare che la riduzione del circolante eroda il margine operativo.
Il rapporto crediti su fatturato e il days sales outstanding (DSO) rappresentano due indicatori chiave monitorati da banche e investitori. Un DSO elevato segnala inefficienza nel recupero e può ridurre il rating creditizio, aumentando il costo del capitale. Viceversa, un miglioramento anche di pochi giorni libera cassa immediatamente disponibile per investimenti o riduzione dell’indebitamento, con evidenti effetti positivi.
La variazione netta dei crediti incide sul rendiconto finanziario indiretto: un incremento assorbe cassa mentre una riduzione ne genera. Inoltre, la gestione delle svalutazioni può appesantire il risultato operativo; pertanto, una politica di incasso rigorosa non solo migliora la liquidità ma tutela anche la redditività. Per approfondire le implicazioni economiche rimandiamo ancora una volta all’articolo sul conto economico già pubblicato nel nostro sito.
Quando immobilizzazioni, rimanenze e crediti vengono osservati come un sistema unico emerge la vera fotografia economico-finanziaria dell’impresa.
Le tre classi raccontano infatti la storia completa del capitale investito: la quota “bloccata” in beni durevoli, quella “in transito” nei magazzini e quella “in attesa” di trasformarsi in cassa. Valutarle in modo integrato permette di capire come il modello di business genera liquidità e, al tempo stesso, quale ritorno offre sui capitali impiegati.
Lo stato patrimoniale dispone gli elementi attivi secondo la loro liquidabilità crescente. Le immobilizzazioni si collocano in testa alla colonna degli impieghi duraturi, seguite da rimanenze e crediti commerciali. Dal lato opposto si trovano passività e patrimonio netto, che indicano le fonti di copertura. Il primo raccordo è dunque di natura strutturale:
Quando il capitale circolante cresce più velocemente dei ricavi, finisce per assorbire cassa che potrebbe essere destinata a investimenti produttivi o a riduzione del debito. Per questo motivo la direzione finanziaria monitora con attenzione la cash conversion cycle, misurata sommando giorni di scorte (DSI) e giorni di incasso crediti (DSO) e sottraendo giorni di pagamento ai fornitori (DPO). Ridurre anche solo di pochi giorni il DSO libera liquidità immediata, abbattendo il fabbisogno di linee bancarie a breve.


Sul fronte reddituale il ponte fra le tre categorie passa attraverso il denominatore degli indicatori:
Il controller deve mantenere un equilibrio sottile: investire in immobilizzazioni per sostenere la crescita, ma senza dimenticare che ogni euro immobilizzato richiede capitale da finanziare; finanziare le vendite concedendo credito ai clienti, ma evitando che l’aumento di DSO eroda la cassa; ottimizzare le scorte per garantire livelli di servizio, ma senza trasformare il magazzino in un parcheggio di capitale improduttivo. Alcuni esempi pratici chiariscono il meccanismo:
Le migliori pratiche di controllo di gestione prevedono dashboard che incrociano indici patrimoniali e economici. Tra le metriche più usate:
In definitiva, i raccordi tra immobilizzazioni, rimanenze e crediti offrono una mappa per leggere la strategia aziendale.
Un’impresa ad alto contenuto di capitale fisso e basso circolante riflette un modello capital-intensive tipico di utility o infrastrutture; l’opposto vale per commercio all’ingrosso o distribuzione.
Comprendere la composizione del capitale investito consente quindi di valutare se la struttura finanziaria, i piani di crescita e le politiche di funding siano coerenti con il rischio operativo e con gli obiettivi di valore. Succede spesso che il vero limite alla crescita non sia la mancanza di mercato, ma l’incapacità di trasformare rapidamente l’attivo in liquidità: un ostacolo che può essere rimosso solo con un lavoro congiunto su immobilizzazioni efficienti, magazzino snello e crediti sotto controllo.

La parte operativa inizia quando i numeri di bilancio migrano nei cruscotti direzionali. Tre sono le aree dove l’informazione patrimoniale si trasforma in azione:
Un approccio integrato riduce i silos informativi tra contabilità generale, logistica e commerciale, migliorando la capacità dell’impresa di reagire a variazioni di domanda o tensioni sui tassi di interesse.
La nota integrativa è spesso percepita come un mero adempimento, eppure offrirle maggiore profondità è un segnale di trasparenza verso finanziatori e stakeholder. Alcune best practice:
Una nota integrativa chiara riduce il rischio di incomprensioni in sede di due diligence o di rating bancario, accelerando processi di finanziamento e operazioni straordinarie.
L’intreccio tra pianificazione fiscale e valutazioni di bilancio rimane un terreno fertile per ottimizzazioni, ma richiede monitoraggio costante delle novità legislative. È in discussione, ad esempio, l’aggiornamento delle aliquote massime deducibili per immobilizzazioni high-tech, oltre alle possibili modifiche alle soglie dimensionali del bilancio abbreviato.
Un osservatorio interno sugli emendamenti al TUIR e sulle consultazioni OIC permette di sfruttare per tempo benefìci transitori o incentivi alla riconversione digitale.

Il contesto macroeconomico suggerisce tre direttrici di attenzione:
Trasformare questi trend in parametri di dashboard aiuta il management a decidere con rapidità e coerenza.
Governare in modo sinergico immobilizzazioni, rimanenze e crediti vuol dire orchestrare al meglio lo spartito patrimoniale dell’azienda. Manuali e norme offrono le note, ma la melodia finale dipende dalla capacità di ognuno di leggere in tempo reale le variazioni di mercato e di tradurle in scelte contabili coerenti.
Una pratica contabile solida, unita a un controllo di gestione proattivo, rende l’impresa più agile, credibile e pronta a cogliere nuove traiettorie di crescita.
