Il turnover del personale aziendale è oggi uno dei fenomeni più rilevanti e complessi per le imprese, con impatti che vanno ben oltre la semplice sostituzione di una risorsa. La difficoltà nel trattenere i talenti, soprattutto tra le nuove generazioni, e i costi – spesso sommersi – che ne derivano, rappresentano una sfida strategica che richiede strumenti di analisi e controllo sempre più evoluti. In questo contesto, il controllo di gestione si afferma come alleato indispensabile per monitorare, prevenire e ridurre le inefficienze legate al ricambio del personale.
Negli ultimi anni il mercato del lavoro italiano è stato attraversato da una crescente instabilità. Secondo le ultime rilevazioni, il 40% dei dipendenti italiani dichiara di voler cambiare lavoro entro l’anno, una percentuale che sale al 49% tra i giovani della Generazione Z. Si tratta di dati sensibilmente più alti rispetto alla media europea e che evidenziano una difficoltà strutturale delle aziende italiane nel trattenere le proprie risorse.
Le cause sono molteplici: aspettative di carriera insoddisfatte, retribuzioni percepite come non adeguate, carenza di benefit, mancanza di flessibilità organizzativa e, non da ultimo, una leadership spesso giudicata poco empatica e poco orientata alla valorizzazione delle persone.
L’Italia, secondo il rapporto European Workforce Study 2025 di Great Place to Work, si colloca in fondo alla classifica europea per capacità di retention, superata anche da altri Paesi dell’Europa meridionale come Portogallo e Grecia. In particolare, le nuove generazioni mostrano una propensione molto più elevata al cambiamento, spinte dalla ricerca di ambienti di lavoro più inclusivi, flessibili e attenti al benessere personale.
Il turnover non è solo una questione di risorse umane, ma un vero e proprio tema di sostenibilità economica. Sostituire un dipendente può costare all’azienda tra il 50% e il 150% dello stipendio annuo della persona uscente, con punte che arrivano fino al 213% per le figure manageriali di alto livello.
In una realtà di 100 dipendenti con un tasso di turnover del 10%, il costo annuo può superare i 200.000 euro.
Questi valori comprendono sia i costi diretti – come la selezione, l’onboarding, la formazione e il periodo di minore produttività del nuovo assunto – sia una serie di costi indiretti spesso sottovalutati. Tra questi ultimi rientrano la perdita di know-how e di relazioni con i clienti, il calo di morale e di engagement tra i colleghi rimasti, la ridefinizione delle dinamiche interne e il rischio di peggioramento della reputazione aziendale. Alcuni studi stimano che due terzi dei costi totali del turnover siano intangibili, ma non per questo meno impattanti sulla performance complessiva dell’organizzazione.
Un aspetto spesso trascurato riguarda l’effetto domino che le dimissioni possono generare: la perdita di una figura di riferimento o di un amico sul posto di lavoro può innescare ulteriori uscite, alimentando un ciclo difficile da interrompere. Secondo una ricerca di Office Vibe, il 70% dei lavoratori considera la presenza di una relazione di amicizia sul lavoro un fattore determinante per la soddisfazione professionale; la sua perdita può quindi incidere profondamente sulla tenuta del team.
Le motivazioni che spingono i dipendenti a lasciare l’azienda sono numerose e spesso interconnesse. La retribuzione rimane un elemento centrale, ma non è più l’unico fattore determinante. Sempre più lavoratori pongono l’accento sulla flessibilità, sulla possibilità di conciliare lavoro e vita privata, sulla qualità della leadership e sulle opportunità di crescita e formazione continua. In particolare, la mancanza di percorsi di carriera chiari e la percezione di un ambiente poco stimolante o addirittura tossico sono tra le principali ragioni di abbandono.
Un’indagine di McKinsey evidenzia come la flessibilità sia oggi il primo fattore di retention, seguito dalla percezione di sicurezza, dal supporto al benessere e dalla possibilità di dare senso al proprio lavoro. Non a caso, le aziende che offrono modalità di lavoro ibride o remote registrano tassi di turnover più bassi rispetto a quelle che impongono la presenza fissa in ufficio.
La buona notizia per le imprese è che la maggior parte delle cause di turnover è prevenibile. Secondo il Work Institute, il 75% dei motivi che portano alle dimissioni può essere affrontato attraverso politiche mirate di engagement, ascolto attivo e valorizzazione delle persone. Le strategie più efficaci sono quelle che mettono al centro il benessere dei collaboratori, la flessibilità organizzativa, la formazione e la crescita professionale, la costruzione di una cultura aziendale inclusiva e la promozione di una leadership ispirazionale.
Tra le leve principali per trattenere i talenti, le organizzazioni più virtuose puntano su:
In questo scenario, il controllo di gestione assume un ruolo centrale e trasversale. Non si tratta solo di misurare a posteriori i costi del turnover, ma di dotarsi di strumenti predittivi e di monitoraggio che consentano di individuare tempestivamente le aree di rischio e di valutare l’efficacia delle politiche di retention adottate.
Un sistema di controllo di gestione evoluto permette di raccogliere dati puntuali sui costi diretti e indiretti del turnover, di analizzare le cause delle dimissioni attraverso indicatori oggettivi e survey interne, di stimare l’impatto economico delle diverse strategie di gestione del personale e di simulare scenari alternativi. Attraverso dashboard e report personalizzati, il management può prendere decisioni più informate, allocare le risorse in modo mirato e intervenire rapidamente in caso di criticità.
L’integrazione tra controllo di gestione e risorse umane consente inoltre di valutare il ritorno sugli investimenti in welfare, formazione e sviluppo, rendendo più efficace la pianificazione strategica e riducendo le inefficienze legate al ricambio del personale.
La capacità di trattenere i talenti non può più essere affidata solo all’intuito o alle buone pratiche delle risorse umane, ma richiede strumenti di analisi e controllo sempre più sofisticati. In questo contesto, il controllo di gestione si conferma una leva strategica per monitorare, prevenire e ridurre i costi – spesso nascosti – legati al ricambio del personale, contribuendo a costruire organizzazioni più solide, attrattive e resilienti.